Quando qualche settimana fa, sul palco televisivo, sono apparsi contemporaneamente Pavarotti, i Deep Purpie e l'orchestra per un'agghiacciante versione corale di "Smoke on the Water," la memoria è andata a Elvis Costello. Più precisamente a una sua vecchia dichiarazione. Recitava pressappoco così: "Mi sono sempre sentito minacciato da quel tipo di musica. E soprattutto dai fans dei Led Zeppelin e Deep Purpie. mi inseguivano ovunque". Non è difficile immaginare Declan Patrick McManus che scappa per le vie di Liverpool, una mano sugli occhiali spessi e una su un disco della Motown, come nelle vignette di Woody Allen pubblicate sui quotidiani della domenica. "Run, Run, Run" e Patrick che corre e si tramuta in Elvis Costello, il songwriter antipatico come Dylan e melodico come McCartney, mezzo punk e mezzo country. Prendendosi la rivincita su tutti i macho del rock, il nostro Elvis è diventato uno degli autori più talentuosi e prolifici di sempre, in grado di poter suonare qualsiasi cosa e con chiunque. E per giunta, alle proprie condizioni. Svezzato in una famiglia di musicisti (il padre Ross era cantante della Joe Loss Orchestra, specializzata ir cover) e appassionato ascoltatore di tutta la musica in grado di risolversi in tre minuto. Costello è diventato il prototipo del rocker moderno. È istintivo ma colto, cerebrale e festaiolo. Padroneggia il lessico del pop sixtiess ma ammicca alla new wave, al punk per poi tornare alla canzone cristallina d'eccelsa manifattura. Ha scritto di tutto e su tutto, tanto da poter consentire di riassembiare il proprio catalogo secondo sezioni tematiche, come pare intenzionata a fare la Rhino Records. L'idea è stuzzicante, tanto da spingerci a giocar d'anticipo per questo sguardo retrospettivo sull universo costelliano. Grazie al cielo il nostro Elvis non ha ancora lasciato il palazzo, quindi...
|